DIMPY BHALOTIA
Poche, pochissime erano le foto in casa di Henri Cartier-Bresson; una, forse due. Una, per cui il grande fotografo aveva una vera e propria ammirazione, era “Three Boys at Lake Tanganika” di Martin Munkácsi. Tre ragazzini immortalati di spalle che sprigionano un’incontenibile vitalità mentre corrono verso le acque del lago. Perché Cartier-Bresson amava quella fotografia? Perché, come ha detto lui stesso: “Ho capito improvvisamente che la fotografia può fissare l’eternità in un momento”. Osservando la fotografia “Flying Boys” di Dimpy Bhalotia, e con la quale si è aggiudicato il Female in Focus Award 2020 del British Journal of Photography, sembra che i tre ragazzini di Munkácsi siano tornati dopo un viaggio lungo novant’anni. Di più, pare che siano tornati per spiccare il volo e catturati nel preciso momento in cui occhio, cuore e mente del fotografo sono perfettamente allineati come una costellazione lontana. C’è, nelle fotografie della giovane indiana di Londra, qualcosa che arriva da una precisa tradizione fotografica e che àncora saldamente la composizione a quelle tre fondamentali componenti cui si faceva cenno, orientandola verso la ricerca del momento in cui un episodio umano – e non solo – ha la capacità di espletare il suo senso. Irripetibilmente. I riferimenti non mancano, e sono segno di una solida cultura visiva. Quanto guardiamo nelle fotografie di Dimpy Bhalotia sembra fuoriuscire da un racconto riscritto con nuove parole, nuovi cenni ma fermamente determinato a essere interpretato attraverso un lessico che costringe a sostare nello spazio citazionista giusto il tempo che occorre prima di assumere una vita propria. E questa sottile e aggraziata visione delle cose che plana sugli avvenimenti, ha quel respiro che sta dentro in una visione poetica della vita, perché per scattare fotografie che sappiano restituire la bellezza d’un gesto occorre amare la vita e i suoi interpreti. Ecco che uomini e animali, colti singolarmente o al crocevia della reciproca interazione, ci appaiono come soggetti appena involontariamente dialoganti ma che, a ben guardare, sono catturati nell’esatto momento di un dialogo segreto. La forza delle fotografie di Dimpy Bhalotia viene da lontano e dunque è ben strutturata. E si vede soprattutto nell’azzardo di forme, nella scommessa formale giocata sul corpo dei soggetti animali, da cui, in altre circostanze, cogliamo una felice traccia surrealista, un terreno ideale nel quale risolvere talune spericolatezze compositive. Il lavoro di Dimpy Bhalotia sosta alla confluenza di due differenti correnti fotografiche: l’umanesimo e il surrealismo (lo stesso Cartier-Bresson sperimentò un delicatissimo surrealismo prima di fondare la Magnum), maneggiati entrambi con disinvoltura e sicurezza. La sua è una voce limpidissima, minimale. Le composizioni obbediscono al comandamento d’essere rigidamente impostate su un registro essenziale, al limite del calligrafico, ma la sobrietà ci convince del risultato. Il solco della tradizione è tracciato, ma seguirne il percorso senza aggiungere le proprie impronte è come non averci camminato. La fotografia è un libro che non finisce mai di essere scritto, a patto d’avere qualcosa da dire. Come in questo caso.
Giuseppe Cicozzetti
foto Dimpy Bhalotia
https://www.dimpybhalotia.com/
DIMPY BHALOTIA
Few, very few were the photos in Henri Cartier-Bresson's house; one, maybe two. One, for which the great photographer had a real admiration, was Martin Munkácsi's “Three Boys at Lake Tanganika”. Three kids immortalized from behind who release an irrepressible vitality as they run towards the waters of the lake. Why did Cartier-Bresson love that photograph? Because, as he himself said: "I suddenly understood that photography can fix eternity in a moment". Looking at Dimpy Bhalotia's “Flying Boys” photograph, and with which she won the British Journal of Photography's Female in Focus Award 2020, it seems that the three kids from Munkácsi are back after a 90-year journey. What's more, they seem to have returned to take flight and captured at the precise moment when the photographer's eye, heart and mind are perfectly aligned like a distant constellation. There is, in the photographs of the young Indian woman based in London, something that comes from a precise photographic tradition and that firmly anchors the composition to those three fundamental components mentioned, orienting it towards the search for the moment in which a human episode - and not alone - has the ability to carry out its meaning. Unrepeatable. There’s no shortage of references, and they are a sign of a solid visual culture. What we look at in Dimpy Bhalotia's photographs seems to come out of a story rewritten with new words, new hints but firmly determined to be interpreted through a lexicon that forces us to pause in the quotationist space just the time it takes before taking on a life of its own. And this subtle and graceful vision of things that hovers over events, has that breath that lies within a poetic vision of life, because to take photographs that are able to restore the beauty of a gesture, you need to love life and its interpreters. Here men and animals, caught individually or at the crossroads of mutual interaction, appear to us as subjects that are barely involuntary in dialogue but who, on closer inspection, are captured in the exact moment of a secret dialogue. The strength of Dimpy Bhalotia's photographs comes from afar and therefore is well structured. And it is seen above all in the balancing of forms, in the formal bet played on the body of animal subjects, from which, in other circumstances, we grasp a happy surrealist trace, an ideal terrain in which to resolve certain compositional recklessness. Dimpy Bhalotia's work stops at the confluence of two different photographic currents: humanism and surrealism (Cartier-Bresson himself experienced a very delicate surrealism before founding Magnum), both handled with ease and confidence. Her is a very clear, minimal voice. The compositions obey the commandment to be rigidly set on an essential register, bordering on calligraphic, but the sobriety convinces us of the result. The groove of tradition is traced, but following its path without adding one's footprints is like not having walked through it. Photography is a book that never stops being written, as long as you have something to say. As in this case.
Giuseppe Cicozzetti
ph. Dimpy Bhalotia
https://www.dimpybhalotia.com/
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